Nebbia e
oscurità davanti a me. Sono le sette di una fredda e inusualmente nebbiosa
mattina di gennaio.
Figure si
materializzano davanti a me per poi scomparire alle mie spalle.
Sento un passo
pesante, clòppete-clòppete, che si avvicina da dietro. Non mi giro neppure, sto
andando libero senza guardare il cronometro e sento che posso aumentare senza fatica.
Clòppete-clòppete.
Il passo è vicino, deve essere a pochi metri, resisto anzi forse aumento ancora un
po’, fendendo la nebbia e la penombra.
Clòppete... clòppete...
Lo sto distanziando, fmhm!...lo sapevo: avrà pensato di fare “le gare” con me, ma oggi mi sento superiore e per niente solidale: potevo lasciare che mi
affiancasse e usufruire della sua compagnia, due chiacchiere tra sconosciuti
nell’oscurità. Non ne ho bisogno, oggi sono autosufficiente e soprattutto sto bene con me stesso.
I rari lampioni
si spengono e paradossalmente la visibilità aumenta, con lo scomparire dei coni
nebbiosi che nascondevano più che illuminare. Il chiarore del giorno mi fa
sentire più sereno, siamo all’Indiano, mantengo il passo in curva ma, clòppete-clòppete,
i passi sono di nuovo pochi metri dietro
di me, non mi giro ma intravedo una figura nera. Resisto. Poco prima
dell’ippodromo il mio scalpiccio sulla terra sparsa sull’asfalto dal passaggio dei
camion e subito dopo clòppete-clòppete scalpicciato. È più vicino, mi sto
stancando e lui è lì. Clòppete-clòppete. Torno verso il fiume e qui ci separiamo: io torno verso
l’Indiano per un secondo giro, lui se ne tornerà verso la passarella. Appena
presa la dirittura verso la nebbia che cela il ponte all’Indiano mi rendo conto
con sgomento che, clòppete-clòppete, lui è ancora a pochi metri da me: mi
sta seguendo, ha girato anche lui dietro di me per un secondo
giro: non ci posso credere.
Mantengo il passo ma sono sempre più stanco. Clòppete-clòppete.
Non guardo il Garmin per impegno con me stesso ma a occhio devo aver percorso
già circa 5km. Tanto peggio: non voglio farmi raggiungere. Forzo anche al
secondo passaggio all’indiano: mi piace sentire che non rallento in curva, ma
lui è lì, clòppete-clòppete, saranno due o tre metri, non di più. Insisto in
salita. So che è una salita, anche se
leggerissima, probabilmente meno di un grado, e poi alla curva in vista dell’ippodromo
diventerà discesa, anche lì un grado o poco più, ma dopo averla corsa anni fa verso il trentesimo chilometro di maratona riesco a percepire nettamente quella pendenza ancorché
minima.
In discesa
scarto di lato per riposare la caviglia sinistra sempre sensibile al dorso d’asino
delle strade e lui, clòppete-clòppete, quasi mi affianca. Lo guardo appena, voltando
di poco la testa a destra: ha degli occhiali da corsa con la montatura nera
piuttosto spessa che spuntano da sotto il cappellino, non dico niente e aumento,
riprendendo la testa mentre torniamo verso il fiume. Ma sono stanco. Clòppete-clòppete.
Si riaffianca di nuovo e mi chiede come va.
Costretto alla resa, ammetto di essere stanco, quasi giustificandomi.
Gli chiedo quanto fa.
“Venti chilometri”.
“Ah, - faccio
io con rispetto - io solo una decina, senza guardare il tempo”, come a
sottointendere che sennò chissà come sarei potuto andare veloce!
“Avevo visto
che tenevi un buon passo, - fa lui, - e mi sono accodato.
“Eh sì, - ammetto
inorgoglito e allo stesso tempo scoraggiato dal fatto che lui a quel passo faccia
tranquillamente venti chilometri, - ma io di solito vado più piano.” Non voglio sottointendere niente: tanto lo capisce benissimo.
Giro a sinistra, stavolta: direzione Firenze. Sono stanco ma con lui accanto non posso che mantenere il passo.
Alla passarella gli annuncio -a mo' di saluto - che devo rientrare: "Ti accompagno" mi risponde con cortesia.
Sono preso in
contropiede e infastidito: già mi pregustavo di rallentare e prendere fiato ma
con lui accanto sono costretto a tenere il ritmo.
A questo punto
ne approfitto per fare un po’ di conversazione. Scopro che è italiano ma vive
in Spagna, infatti ha un forte accento ispanico, è a Firenze per Pitti. Due
parole su di me, ma il fiato è limitato e non voglio ammettere di avere il
fiatone, quindi taccio allungando.
A poco centinaia di metri da casa lo informo che sono quasi arrivato e lui mi saluta tornando verso
le Cascine.
Finalmente. Guardo
il Garmin: ho fatto più di dieci chilometri in un buon tempo e tenuto conto che
i primi due chilometri prima di sentirmi inseguito li avevo fatti piuttosto
rilassati, vuol dire che gli altri otto li ho corsi a un ritmo ben superiore al
solito. Soddisfatto, non solo rallento ma mi fermo, proseguendo a piedi fino a
casa.
La morale?
diffidare degli sconosciuti! E soprattutto umiltà e dubitare sempre, in
particolare alle Cascine: se passi uno che va nettamente più piano di te, non
necessariamente sei tu a andare veloce, potrebbe essere lui che sta recuperando
dopo una ripetuta o semplicemente si sta riscaldando con cura. Umiltà e
guardare solo noi stessi.
Niente di
nuovo, ma ripeterselo non fa mai male.
Comunque quando
eravamo verso casa, e ormai era giorno pieno, l’ho osservato mentre mi stava a
fianco: correva! Voglio dire: si vedeva che stava andando a una bella andatura,
non stava corricchiando. E siccome andavamo affiancati... Beh, insomma, son soddisfazioni!
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