Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

domenica 3 giugno 2012

5.1 Fiesole – Vincigliata (una paura e due nipoti ringamboni)

Asfalto / saliscendi (350m di dislivello) / circa 15 km (giro)

Prima regolo i conti con i due nipoti (uno naturale e uno acquisito) ringamboni: glielo avevo promesso. Avevo proposto loro un bel giro per una domenica mattina: Fiesole – Vincigliata – Ponte a Mensola e rientro. Partenza e arrivo a loro scelta in base alla distanza che si sentivano di fare. Venerdì a distanza di 4 minuti mi arrivano due email, dall’uno e dall’altro, con cui entrambi, per motivi vari, declinano. Ho pertanto risposto affermando che avrei fatto lo splendido giro da solo approfittandone per buttare giù un racconto su due nipoti ringamboni... Mi fermo qui (per adesso).
Veniamo ora allo splendido giro. Peraltro mentre lo stavo correndo mi sono reso conto che è sostanzialmente il percorso della Firenze-Fiesole-Firenze che si corre solitamente la prima domenica di dicembre. Solo che facendo la gara avevo visto un decimo di quello che ho ammirato stamani.
Iniziamo la descrizione da piazza Edison. All’inizio la pendenza è dolce, largo tornante alberato e siamo a Camerata, la strada si spiana ed ecco San Domenico. Fin qui tutto bene.
Dopo la chiesa la salita si fa più seria, inoltre non c’è marciapiede, da nessun lato pertanto bisogna fare attenzione. Il mio prossimo punto di riferimento è il tornante al bivio con via Benedetto da Maiano con la vecchia pubblicità “PENSIONE BENCISTÀ aperitivi, terrazza”.
La variante masochista (già descritta in Firenze – Fiesole (leccandosi anche ledita)) prevedeva fare un tratto di viale Righi e salire poi per via del Salviatino, spuntando appunto qui. La distanza percorsa da piazza Edison sarebbe stata la stessa ma la salita sarebbe stata più corta di circa un chilometro. Dipende se vi sentite più o meno eroici.
Dal tornante la salita prosegue insistente fino alla pettatina in curva per spuntare su piazza Mino da Fiesole. Si ti tira di lungo (invece di soffermarci a curiosare nell’immancabile mercatino che stanno finendo di allestire). La salita non è finita. Fino al bivio per Vincigliata il percorso è lo stesso già descritto.
Riprendiamo da qui. Si prende a destra via di Vincigliata, seguendo le indicazioni per Vincigliata / Montebeni. Qui si tocca il punto più alto del giro: 400m slm. Si prosegue con un saliscendi fino a Villa Peyron, Villa Bosco di Fontelucente, per la precisione, con lo splendido giardino e il laghetto. Questo è un altro gioiello da non perdere ma conviene informarsi prima di andarci non è ovvio trovarla aperta.
Passando e mirando il panorama che si gode dalla villa ho avuto una illuminazione i Peyron (padre e figlio) che avevano individuato quella locazione per erigere la loro dimora oltre che amanti di Firenze, molto ricchi, cripto-massoni, erano anche in contatto con gli alieni: da lì si vede di filata una linea verde che taglia la città fino a incrociare perpendicolarmente l’altra linea verde che è l’Arno. Si tratta del torrente Affrico, oggi coperto, costeggiato di alberi e che separa nettamente un magma bianco e rosso. Elena poi mi ha fatto notare che non taglia la città, perché è piuttosto periferica (effettivamente è fuori dai viali). Certo ho prontamente ribatutto, ma divide la città che si vede da lassù. Ovviamente ho avuto una visione astorica oltre che cretina: quando il Peyron padre ha acquistato il luogo l’Affrico divideva ben poco, lì era quasi tutto campagna...

La strada è facile, solo un’attenzione: al bivio Montebeni/Settignano a sinistra e Vincigliata a destra, tenere la destra.



















Si scende in modo deciso con impegnativi tornanti nel bosco.
Improvvisamente sembra di essere in un pieno medioevo con il tipico castello con le mura merlate e il camminatoio, i posti di guardia protetti, il mastio, la torre. Si gira per tre quarti intorno al castello di Vincigliata, ovviamente immaginifica ricostruzione di fine ottocento.

















Si torna nella realtà urbana (o quasi) a Ponte a Mensola. Anche qui un gioiello, della cucina tradizionale fiorentina: Trattoria da Osvaldo. Quando mi capita di tornarci sono felice.
Si segue via D’Annunzio e siamo di nuovo all’Affrico e a Campo di Marte: da qui ognuno può tornare al suo punto di partenza. Il giro tornando per viale Righi a piazza Edison conta circa 15km.

Prima di concludere: nel titolo ho menzionato una paura.
Da venerdì, dopo aver realizzato che sarei stato da solo, ho cominciato a percepire un fastidio, un’incertezza, una sorta di paura.
Di che? Di non farcela. Di non farcela? Non era certo una maratona, e non andavo nel deserto. Di farmi male in discesa dove passano poche persone soprattutto la domenica alle otto? No, soprattutto di non farcela e di dovermi fermare e proseguire a piedi.
C'è un  precedente. È successo, due anni fa, proprio con i primi caldi, era un sabato pomeriggio, aspettai fino alle 6 di pomeriggio e poi partii in direzione dei Renai con l’idea di fare 24km. Poi arrotondato conservativamente a 20, finché al ponte dell’autostrada sono tornato indietro accontentandomi di almeno 14km. Alla stazione delle Piagge dopo appena 8km mi fermo stupito. Era come se il motore si fosse spento inspiegabilmente e non ne volesse sapere di ripartire. Sconsolato e indispettito di ritrovarmi a piedi a circa 6km da casa, telefono a Elena sperando che si offra di venirmi a prendere. Invece mi consiglia di chiamare un taxi. Cosa che faccio senza risultato: nessuna delle due cooperative cittadine ha una vettura disponibile. Richiamo Elena che stavolta mi suggerisce di arrivare a una via vicina dove avrei potuto prendere un comodo autobus che mi avrebbe portato fino a casa. Mesto per la defaillance e nudo come un bruco (vabbè in pantaloncini e maglietta, sudato, ma vi assicuro che salire su un autobus che porta gli adolescenti in centro un sabato prima di cena non è granché come situazione). E in più non avevo il biglietto, ovviamente (tutto chiuso nei paraggi e non si poteva comprare a bordo allora). Me ne sto guardingo a ogni fermata, pronto a scendere: ci manca pure di essere intercettato dal controllore per completare la serata. A due fermate dalla mia, le porte si chiudono e ben due controllori spuntati dal nulla cominciano i controlli. Io sono già davanti alla porta (chiusa), due semafori verdi ed ecco la fermata: scendo in scioltezza e proseguo a piede per le ultime centinaia di metri felice di essere di nuovo a terra. Mi ci vollero mesi per riprendermi da quella umiliazione, non tanto dell’autobus, quanto dell’essermi fermato dopo neppure dieci chilometri per un motivo imprecisato: il primo caldo, come dicono gli anziani, mi parve la spiegazione migliore: non sopporto il caldo e effettivamente era stato inaspettatamente caldo e anche alle sei, sette di pomeriggio il sole era fastidioso e l’aria afosa. 
Poi c’è stata la crisi alla maratona di Roma quest’anno...  
Con questa sensazione sono uscito stamani, fiero anche di affrontare questa sfida intima. E il momento critico non è stato la salita ma i chilometri (in pianura) finali: ero stanco (della salita e della discesa), ho rallentato ma ce l’ho fatta. Ma perché non avrei dovuta farcela, mi chiedo. Boh. La paura era lì.

PS: Due parole più eque sui due nipoti: l’”acquisito” mi ha affiancato, supportandomi e sopportandomi, in ben tre preparazioni per la maratona, il “naturale” si è appena affacciato al mondo della corsa e a occhio è promettente: non si meritavano la vendetta ma è stato più forte di me...

1 commento:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina