Grazie
a Giovanni, da Brescia, ho cominciato a conoscere Monte Morello. Pur essendo
fiorentino ricordo di aver visto le antenne da vicino solo passando in auto e
di essere stato a pranzo al Ristorante il Vecciolino, ma l’ultima volta più di
dieci anni fa. Di passeggiate o escursioni non se ne parla proprio. Questo
quello che conoscevo di questo luogo.
Con
le uscite in pausa pranzo ho saputo di aver lambito l’area in questione,
soprattutto con il Giro del Pietrisco, ma si tratta sempre di un limite estremo,
Monte Morello in sé resta fuori dalla portata delle nostre uscite prandiali.
Pertanto
inizio una nuova sezione dedicata specificatamente a Monte Morello nella
speranza di aggiungere in futuro ulteriori esplorazioni.
Stavolta
ci siamo trovati al parcheggio della manifattura Ginori con il chiaro intento
di far scoprire, a chi come me non sapesse neppure che esisteva, il bosco del
parco di Villa Ginori e contestualmente la costa sottostante Monte Morello.
Si
circonda l’ex-manifattura, oramai fitta lottizzazione, per via della Fabbrica,
prendendo a destra per via del Tiglio per poi continuare a salire a sinistra
per via di Doccia. Siamo davanti all’ingresso della villa. A quanto mi dice
Giovanni, Villa Ginori è disabitata, eccezion fatta per il casiere che ha
incontrato una sera mentre questi usciva da una porticina e, di fronte alla sua
evidente curiosità, lo ha addirittura invitato a fare un breve giro guidato nel
giardino.
Si
sale costeggiando il muro che racchiude il parco fintantoché un enorme varco ci
invita a oltrepassarlo. Intercettata una comoda carrabile ormai ridotta a poco
più di un sentiero ne abbiamo seguiti i regolari tornanti che ci hanno fatto
rapidamente salire per il bosco ombroso. La pendenza è ingegneristicamente
costante e i tornati disegnati con cura.
Una
improvvisa ferita del bosco, forse un tagliafuoco, ci dona la visione della
piana di Sesto e del giardino della Villa giù in basso.
Si
continua a salire fino a che all’ennesimo tornante Andrea, l’altro compagno di
corsa, attira la nostra attenzione alle
vestigia di un acquedotto ormai abbandonato. Restano dei pozzetti aperti e una
sorta di canale che scende verso la villa e le cui pareti di pietra sono ormai quasi
mimetizzate dal sottobosco. Siamo in prossimità, ci dice, della Fonte Giallina.
Proseguiamo lasciando l’esplorazione ulteriore a una venuta successiva. Non mi
sentivo di turbare la pace fiabesca del bosco e delle sue fonti con una visita
inattesa e, per giunta, tutto sudato.
Ormai
è una mezz’ora che saliamo, siamo sempre nel bosco. Chiacchieriamo e scansiamo
i sassi. Un fruscio alla mia destra e lo vedo, dalla coda ritta e gonfia deve
essere un capriolo. Corre parallelo a noi. Ma lui corre davvero, e sparisce.
Noi non ci possiamo permettere neppure di cambiare passo, onde evitare il
rischio di fermarci.
“Quando
ho voglia di distrarmi dopo il lavoro, nel tardo pomeriggio mi piace perdermi
per questi sentieri”, dice Giovanni.
Io
e Andrea rimaniamo in silenzio, a parte il fatto che di fiato da sprecare ne abbiamo
poco, ormai sarà più di mezz’ora che stiamo salendo, intanto la carrozzabile è diventata
sentiero, e poi (mi sento di accomunarlo al mio pensiero) non sappiamo che
dire: se lui si diverte così!?!
A
me sinceramente l’idea di inciampare su un sasso o una radice, ruzzolare nel
caso che ciò avvenga in discesa, storcermi una caviglia o farmi male in genere,
da solo, in un bosco su per Monte Morello mi spaventerebbe.
“È
bello spuntare inaspettatamente in un luogo che conosci, scoprire nuove
connessioni tra luoghi distinti... Tanto so che basta prendere una strada in
discesa e male che vada torno giù a Sesto”, si giustifica Giovanni al nostro
silenzio quanto meno scettico. “Sì, sì...”, acconsentiamo laconici.
Quando
la vegetazione si dirada vediamo bene la Calvana lì accanto e davanti a noi le
tre punte di Monte morello, tutte sopra i novecento metri. Quella a cui ci
stiamo avvicinando, Monte Rotondo, non ne fa parte, è solo settecento metri.
Noi siamo poco sotto i seicento e abbiamo nelle gambe circa cinquecento metri
di dislivello.
Arrivati
a via dei Colli alti, dopo l’ultima pettata asfaltata (in virtù di un agriturismo con una vista invidiabile), irrispettosa di tutta la fatica
che avevamo fatto prima, abbiamo preso nel senso della discesa. La sensazione
morbida dell’asfalto liscio sotto i piedi è stata sorprendente e molto
piacevole. Chi è convinto che l’asfalto sia duro e fastidioso per legamenti e
articolazioni dovrebbe approfondire l’argomento che rischia di essere un luogo
comune.
Il
bello di questo giro è che siccome non si può certo cercare la performance (già
riuscire a non camminare in certi momenti era un successo) ci siamo potuti
fermare in due o tre punti per ammirare il panorama e per avere ragguagli
topografici. L’ultimo davanti alla carta dei sentieri in località Collina dove
via di Gualdo diventa via delle Catese (subito prima della Bottega di Morello:
non è colpa mia se conosco solo ristoranti...).
Invece
di rientrare direttamente seguendo la strada, Giovanni ci ha fatto godere di
una deviazione che si è rivelata piacevole, attraverso un oliveto e
costeggiando un fitto boschetto, per poi riprendere via delle Catese che nel
frattempo ha cambiato nome in via dei Molini, dopo esser passati appunto accanto
a un ex-mulino lungo il torrente.
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