Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

martedì 4 ottobre 2011

La Maratona di Firenze 2010 - 4

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Finalmente il giorno


Appena sveglio tendo l’orecchio e mi pare di sentire il rumore della pioggia sulle foglie sul retro. Mi alzo e vado a aprire la finestra di cucina: non c’è dubbio, piove. E tira anche un po’ di vento. Non c’è possibilità di sperare ancora, siamo nella situazione peggiore. Prenderò anche l’acqua in scooter, questo è un aspetto che non avevo considerato e che mi infastidisce perché mi crea un disagio aggiuntivo che quasi mi distrae dal problema principale, non vorrei deviare la mia energia dallo scopo principare: la corsa. Tutto quello che è contorno vorrei non esistesse e per questo ho cercato di controllare e prevedere ogni necessità e ogni dettaglio in anticipo. Pazienza, per fortuna non piove forte, oggi non esiste alternativa allo scooter, sia per il problema parcheggio sia per arrivare senza rimanere incastrato nel traffico ostacolato dai preparativi per la corsa.
Accendo la macchina del caffè, e mi verso del succo d’arancia. Tosto quattro fette di pane da toast e tiro fuori la marmellata. Non ho fame però trangugio le quattro fette con abbondante marmellata di albicocche accompagnate da un caffè lunghissimo e dal succo d’arancio.
Ho deciso di non mangiare diversamente dal solito per evitare situazioni sconosciute, e poi solo l’idea di farmi un piatto di pasta o di riso mi disgusta. Ho seguito i suggerimenti di Fulvio Massini: domenica scorsa prima dell’uscita di gruppo ce ne ha parlato anche Luca Gatteschi mentre facevamo stretching: nessuna esagerazione ma aumentare le quantitità soprattutto di carboidrati. Ieri e venerdì ho mangiato sia pasta che pane o pizza. Anche con grande soddisfazione visto che venivo da due mesi di dieta. Speriamo che basti.
Mi vesto senza pensare oltre, tutto è stato deciso, da me e dalle condizioni atmosferiche, anche lo zainetto è pronto con quanto avevo predisposto in accordo alla lista.
Esco: luce grigia, freddo, leggera pioggia a vento. Che tristezza.
Mentre sono al semaforo in via Benedetto Marcello vedo un altra persona in motorino a cui spuntano dalla tuta impermeabile delle scarpe da corsa. Via via che sui viali mi avvicino al lungarno vedo sempre più motorini guidati da persone che indossano scarpe da corsa, auto con il bagagliaio aperto e qualcuno che si cambia, gente che corre lungo la pista ciclabile nella mia stessa direzione. Più procedo e maggiore è la densità.
Sistemo lo scooter all’altezza di via Ghibellina, a un centinaio di metri dall’appuntamento e dal deposito delle borse.
Ho fissato con un mio collega, Marco Del Lucchese, al semaforo sul lungarno in corrispondenza della Torre della Zecca.
Sono le otto e un quarto e non vedo nessuno. Stavolta ho il cellulare. Sì, perché l’anno scorso con Emanuele avevamo fissato nello stesso posto, non riuscivamo a trovarci e avevo pure lasciato il cellulare nello scooter. Fino a che lui non realizzò che mi stava aspettando nel posto sbagliato e, quando avevo perso la speranza e mi ero già rassegnato pacificamente a correre la mia prima maratona da solo, eccolo che arriva, e peraltro nei pressi del semaforo si era pure creata una folla, dato che non era poi molto originale come luogo di ritrovo, visto che si trovava esattamente tra i container dove si lasciano gli zaini e la fermata della navetta.
Stavolta ho il cellulare e lo chiamo. Ma incredibilmente non risponde. Al terzo tentativo risponde una sua amica, Marco si sta cambiano vicino alla torre, mi dice. Mi giro e li vedo, a venti metri da me.
Lasciamo le borse con attaccato l’adesivo con il numero di pettorale al rispettivo container. Prendiamo d’assalto la prima navetta che si avvicina. Siamo tutti pigiati dentro. Sono contento come un bimbo, dice lui sorridendo. Io sorrido di rimando, comprensivo e paterno. La pioggia riga i finestrini dell’autobus, la luce fuori è grigia e opaca anche se sono già le otto e trenta. Siamo tutti accomunati dall’attesa e dalla tensione per l’impresa che ci aspetta. Io mi sento dentro uno scafandro e guardo fuori dall’oblò, i rumori sono attutiti, il contatto con le persone intorno reso impossibile dalla spessa tuta.
Arriviamo al piazzale, la situazione è caotica ma soprattutto piove. Cerchiamo riparo indirizzandoci a un tendone, ci giriamo intorno, ogni ingresso rigurgita di gente in canottiera e calzoncini, non c’è modo neppure di insinuarcisi. Bevo dalla mia bottiglietta il “pre-gara”, mangio la barretta tecnica, mezz’ora della partenza mi aveva detto Fulvio. Visto che non c’è modo di ripararsi, tanto vale entrare nelle gabbie. Ma prima di entrare dove non sai se potrai uscire, resta l’ultima pipì da fare. Ci indirizziamo ai WC chimici, una fila di almeno una decina di cabine telefoniche di plastica colorata. Le file davanti a ogni cabina sono scoraggianti, se anche ognuno ci mettesse un paio di minuti ci vorrebbero almeno venti minuti prima che fosse il nostro turno, ce la faremmo ma in questi casi uno preferisce essere pronto per tempo, non sia mai che poi sei troppo indietro nella tua gabbia. Lo so che è assurdo e che le gabbie sono un magma ancora fluido in cui si può scorrere strisciando l’uno sull’altro, la cui densità aumenterà gradualmente fino a rendere impossibile ogni movimento. Comunque guido Marco a una florida siepe subito sotto piazzale Michelangelo, sfruttando biecamente uno dei benefit dei runners maschi.


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